I Desert Twelve nascono a Piacenza nel 2021 per volere del chitarrista Gabriele ‘Gaby’ Finotti, già nei Misfatto, storica band del piacentino tutt’ora in attività. La band è attualmente composta da Davide Radicelli (basso), Luca Dabergami (batteria), Alex Viti (chitarra), Vittoria Ipri (voce) e ovviamente da Gabriele Finotti.
DESERT TWELVE, TEMATICHE
Il gruppo ha gia’ all’attivo un disco, uscito nell’anno solare 2022. Questo nuovo ”The Last Dark Wood” si propone come un viaggio esoterico musicale. E’ un passeggiare dentro all’ultimo bosco sacro, oasi di verità e virtù, che venne fatto tra il 1520 e il 1560 da un nobile italiano per la moglie morta prematuramente. Le premesse date dalla bio sono molto buone e incuriosiscono il sottoscritto. Esplora tematiche esoteriche e spirituali, parlando del contatto con la natura (l’omonimo brano ‘The Last Dark Wood’), presentando personaggi mitologici della cultura popolare mediterranea (‘Echidna’,madre di Cerbero), mescolata ad elementi appartenenti al mondo nordico (‘The Dragon’). Un luogo magico sacro e oscuro, come vuole essere l’album dei Desert Twelve.
DESERT TWELVE: THE LAST DARK WOOD

Mi trovo molto a mio agio con queste tematiche. Per questo ammetto che sono stato spiazzato dalla proposta musicale della band in questione. Anzi, vi diro’ di piu’: l’album ha preso piu’ tempo di quello che pensassi per essere analizzato. Il primo ascolto mi aveva fatto storcere il naso, per usare un eufemismo. Ma in questi casi non mi piace fermarmi al primo sentimento. Puo’ essere la giornata no, la poca predisposizione per certe sonorita’ e via discorrendo. Percio’ lo ho messo nel cassetto per tirarlo di nuovo fuori una settimana dopo. Gli ascolti successivi hanno fatto un po di luce ma hanno lasciato anche diverse ombre.
Inutile girarci intorno, questo cantato femminile su questo genere non mi ha convinto. Ho sempre ammesso che e’ un mio limite il soffrire le donzelle cantanti nel rock e metal. Ma sono stato piu’ volte stregato da gruppi che vedono al microfono un elemento femminile (per citarne uno, italiano e underground, i Les Longs Adieux). E’ che ci sono voci e generi.
LUCI ED OMBRE
L’opener ”To Be the King” lascia ben sperare. Questo perchè risulta piu’ eterea e propensa a legarsi con una timbrica di questo genere. Musicalmente e’ ineccepibile, di gran buon gusto in tutto. Ha dei suoni belli pastosi ma netti, un lavoro fatto bene. Ma gia’ dalla seguente ”The Dragon” c’e’ qualcosa che non mi torna. Il sound chitrristico diventa decisamente stoner, ma suona troppo pulito e precisino. A questo deciso cambio di groove si va ad accoppiarsi una voce che starebbe da dio in una band goth rock o goth metal, ma che poco ha a che spartire con questo sound. Invece di donargli quella polverosita’ che manca, lo pulisce ancora di piu’.
VIDEO
”Bikini Since 1946” e’ bella lenta, rotolante. Uno strano flauto suona da lontano, mentre la batteria passa ad un groove tribale. La voce sta bassa di tono, e qui anche le sfumature fanno la differenza. Quando dovrebbe dare il graffio, fa un acuto. Per dio, sono considerazioni personali sia chiaro, ma fa parte del descrivere un album. Musicalmente la canzone e’ perfetta, dai riff ai cambi di tempo, ma le manca quel qualcosa che la renda ruvida. Mi sono immaginato se questa canzone la avessero suonata e cantata i Down, e mi sono dato una risposta.
DESERT TWELVE, ISPIRAZIONI LONTANE
Piu’ settantiana ”Eleven Magic Kisses”, con un sound piu’ prog legato a quegli anni. Musicalmente tutto perfetto, tutto ineceppibile, forse troppo. Sempre per sottolineare il tutto pulito, la voce sempre impeccabilmente al suo posto. Ad ogni secondo mi aspetto un ruggito, un qualcosa che a Janis Joplin sarebbe uscito dal cuore come un tuono. Ma purtroppo, a far da contraltare a chitarroni che sparano armonici tirati, non ruggisce nessuno.
”The Moon” cadenza, musicalmente siamo sempre davanti all’eccellenza compositiva. La voce su questo pezzo ”Scorpions Style” sta meglio, lega decisamente di piu’. Per mio gusto probabilmente la canzone piu’ riuscita del lavoro. Qui strumenti, sound e voce sono in sintonia. ”Echidna” mi piace un sacco come inizia, mi ricorda gli Amorphis di ”Am Universum”. Anche qui l’incipit della composizione viaggia a braccetto con la parte vocale, che risulta piacevole e ben legata al tutto.
”The First Underworld Down” riporta le nubi all’orizzonte, perche’ quando il ritmo si fa stoner, servirebbe un cantato piu’ sofferto, piu’ lacerato. Un cantato che dovrebbe fare il pari con le funeree campane che rintoccano in lontananza. Arriva cosi’ la conclusiva ”The Last Dark Wood”, che non sposta di un millimetro cio’ che si e’ sentito dall’inizio del lavoro, con i suoi pregi e i suoi (per me ovviamente) difetti.
RIFLESSIONI DI MIC DJ
E’ che ci sono voci e generi, scrissi all’inizio. Qui ci sono canzoni che avessero avuto, per dire, un Phil Anselmo al microfono saremmo caduti dalla sedia. Ma invece di un lurido figlio della strada, carico delle sue cicatrici di vita, troviamo una ragazza motlo brava con il cantato pulito, ma che non graffia quando la sofferenza dovrebbe venire fuori. Del resto e’ tutto il lavoro ad essere, comunque, cristallino e pulito. In un album con questi pezzi l’aver lasciato un poca di polvere sul bancone avrebbe reso il tutto piu’ vero.
Comunque sia chiaro, resta un lavoro che piace, è suonato strabene e vario. Un disco che va assolutamente preso in considerazione perchè è oggettivamente ottimo. Bravi, la strada è quella giusta!
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